Sono ormai sei anni anni che assistiamo con apprensione allo sfaldamento della costruzione europeista. Decenni di integrazione europea, decenni di pace, decenni di crescita economica sono stati messi in discussione da qualche punto percentuale di spread. Improvvisamente, un progetto di politica internazionale ambizioso che doveva fondarsi sulla convivenza pacifica tra popoli in quella che è considerata la culla del mondo occidentale, si è trasformato in un banale esercizio di contabilità che fa riempire la bocca parlando di politica fiscale e politica monetaria.
I deficit strutturali ci sono sempre stati. Spagna, Portogallo e Grecia hanno prosperato per un decennio con i flussi di paesi in avanzo come la Germania. Ed è del tutto normale che a degli avanzi corrispondano dei disavanzi. Per dieci anni Non c’è stato alcuno spread tra paesi, perché l’insolvenza di un paese, per quanto fosse alto il suo stock di debito, non era ipotizzabile nel momento in cui i flussi finanziari continuavano a scorrere in Europa. Poi è arrivata la crisi innescata dal fallimento di Lehman Brothers, i flussi si sono bloccati per qualche mese e i paesi in deficit hanno rischiato di rimanere a secco. Anziché risolvere il problema rapidamente, ci si è focalizzati su aspetti che hanno inoculato in Europa il virus nel nazionalismo finanziario.
Il vero problema non sono stati i deficit finanziari, ma un deficit di leadership. Italia e Francia sono stati guidati da governi imbarazzanti e imbarazzati da una serie di scandali interni che hanno lasciato alla Germania un’egemonia spropositata. E’ così che l’Europa è diventata un ammasso di percentuali e spread.
I teorici del moral hazard e dell’austerità che non vogliono concedere alla Grecia uno sconto sul debito che vale l’1% del PIL dell’intera Eurozona (un-percento!) sono dei miopi incoscienti. E Tsipras che, come il peggiore dei bancarottieri, ricatta l’Europa anziché invocarne la solidarietà, si rivela un opportunista più che uno statista da osannare.
Il weekend scorso sono stato a Parigi spendendo meno che per andare a Milano. Non ho varcato alcuna frontiera e ho pagato la metropolitana di Parigi con le stesse monete con cui il giorno prima ho pagato un biglietto dell’Atac (ricevendo un servizio molto differente, ma questo è un altro discorso). Ho incontrato amici italiani che lavorano lì da anni sentendosi a casa vicino alla Senna e sentendo nondimeno la nostalgia per Trastevere. Mentre visitavo il Centre Pompidou, (progettato da un in italiano) e passeggiavo per le strade sorvegliate da militari in stato d’allerta, mi sono sentito a casa anche io, mi sono sentito protetto da un esercito straniero e non ero invidioso della grandeur francese, ma ne ero in qualche modo fiero sentendola mia. Mi sono emozionato vedendo come era conciata Place de la Republique a due settimane dalla manifestazione per Charlie Hebdo e mi sono rattristato apprendendo in quel giorno che Charlie Hebdo gettava la spugna sospendendo le pubblicazioni.
C’è una canzone di Barbara – cantautrice francese – che è stata inserita nei programmi delle scuole elementari francesi. Si chiama Göttingen ed è stata scritta da Barbara subito dopo un concerto tenuto dalla cantante francese su invito dell’università di Göttingen. Ebrea francese fuggita ripetutamente durante l’infanzia dalle persecuzioni della Repubblica di Vichy, nel 1964 Barbara era andata a Göttingen malvolentieri e con forti pregiudizi negativi sull’opportunità di tenere un concerto in Germania. Dopo quel concerto, sentendo il calore del pubblico prolungò il soggiorno a Göttingen e compose una canzone che, oltre ad essere un inno alla convivenza pacifica, è uno dei migliori inni all’Europa Unita catturando lo spirito dei fondatori. Se ci fosse anche una sola nota di questo brano nelle parole di Merkel, di Tsipras e Renzi, oggi forse non sapremmo neanche cosa sia lo spread.
Bien sûr, ce n´est pas la Seine, Ce n´est pas le bois de Vincennes, Mais c´est bien joli tout de même, A Göttingen, à Göttingen. Pas de quais et pas de rengaines Et que personne ne s´offense, Bien sûr nous, nous avons la Seine Nous, nous avons nos matins blêmes Quand ils ne savent rien nous dire, O faites que jamais ne revienne Et lorsque sonnerait l´alarme, |
Ma certo, non è la Senna, non è il Bois de Vincennes, però è bello lo stesso A Göttingen, a Göttingen. Niente “quais”, niente canzonette lagnose La san meglio di noi, penso, Che nessuno s’offenda, Ma certo, noi abbiamo la Senna Noi abbiamo i nostri mattini lividi Quando non sanno dirci niente Tanto peggio per chi si stupisce E fate che mai ritorni E se suonasse l’allarme, |
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